NON SI TUTELANO I LAVORATORI FACENDOLI INDEBITARE CON LE BANCHE
Il Governo si è posto il problema di tutelare i lavoratori che, a causa dell’emergenza sanitaria, devono accedere agli ammortizzatori sociali (art.19 e 21 del Dpcm 18/2020) ma la soluzione trovata finisce con l’aggravare quei problemi. A fronte di possibili ritardi nell’erogazione da parte dell’INPS e, visto il rifiuto datoriale ad anticipare gli ammortizzatori sociali, ha scelto infatti di indebitare i lavoratori con le banche.
Così, il Ministero del Lavoro, a fine marzo, ha patrocinato la stipula di una convenzione tra l’Associazione Bancaria Italiana, Cgil-Cisl-Uil-Ugl e quasi tutte le Associazioni datoriali, per regolare i modi e le condizioni alle quali i lavoratori potranno accedere ad un prestito fino a 1.400 euro. La convenzione sembrerebbe offrire delle opportunità ai lavoratori che subiscono i ritardi della burocrazia, esonerandoli dal pagamento dei costi per l’apertura del conto corrente (anche per la chiusura?) e di eventuali interessi (al “ristoro” delle banche ci penserà lo Stato, ovvero i contribuenti!) ma è davvero così? Purtroppo non è tutto oro quello che luccica. Anzi!
In realtà chi accederà alla convenzione dovrà contrarre un vero e proprio debito con le banche da saldare nel momento in cui l’Inps verserà gli ammortizzatori sociali spettanti al “debitore”. Se però, come specificato nell’art.6 della convenzione citata, dopo il settimo mese dall’avvio della convenzione l’Inps dovesse accumulare ulteriore ritardi nel pagamento delle integrazioni al reddito, i lavoratori sarebbero obbligati a restituire quanto percepito entro 30 giorni. Nel caso non riuscissero a farlo, il datore di lavoro, preventivamente autorizzato dagli stessi lavoratori-debitori, verserebbe direttamente alla banca le componenti retributive maturate, “fino alla concorrenza del debito”.
Inoltre il datore di lavoro che non inviasse alle banche comunicazioni corrette e complete o che avesse qualche responsabilità nel rifiuto, totale o parziale, della richiesta d’integrazione salariale all’INPS, sarebbe co-obbligato al saldo del debito contratto dal lavoratore con la banca. Questo sta già inducendo molte aziende, soprattutto quelle medio-piccole, a rifiutare l’applicazione della convenzione a quei lavoratori che la richiedono.
È facile immaginare le complicazioni che tutto questo comporterà per i lavoratori e il contenzioso che ne potrebbe scaturire tra dipendenti-debitori e azienda ma anche tra i lavoratori-debitori e banche, con tutto ciò che ne consegue in termini di oneri per chi farà ricorso al “prestito”.
Pertanto la Cub chiede che sia il Governo a garantire direttamente l’immediata erogazione delle integrazioni salariali spettanti disponendone il versamento ai lavoratori senza che questi passino per l’intermediazione bancaria.
La Cub, infine, invita i lavoratori ad evitare il ricorso a tale finanziamento, la cui definizione esonera le aziende da qualunque responsabilità in ordine al mancato anticipo degli ammortizzatori sociali, indipendentemente dalla loro situazione economica, ma ipoteca la “serenità” futura di coloro che sono già colpiti dalla drammatica crisi spalancata dalla pandemia.
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